21.1.11

Le altre donne, di Concita De Gregorio

Esistono anche altre donne. Esiste San Suu Kyi, che dice: «Un’esistenza significativa va al di là della mera gratificazione di necessità materiali. Non tutto si può comprare col denaro, non tutti sono disposti ad essere comprati. Quando penso a un paese più ricco non penso alla ricchezza in denaro, penso alle minori sofferenze per le persone, al rispetto delle leggi, alla sicurezza di ciascuno, all’istruzione incoraggiata e capace di ampliare gli orizzonti. Questo è il sollievo di un popolo».

Osservo le ragazze che entrano ed escono dalla Questura, in questi giorni: portano borse firmate grandi come valige, scarpe di Manolo Blanick, occhiali giganti che costano quanto un appartamento in affitto. È per avere questo che passano le notti travestite da infermiere a fingere di fare iniezioni e farsele fare da un vecchio miliardario ossessionato dalla sua virilità. E’ perché pensano che avere fortuna sia questo: una valigia di Luis Vuitton al braccio e un autista come Lele Mora. Lo pensano perché questo hanno visto e sentito, questo propone l’esempio al potere, la sua tv e le sue leader, le politiche fatte eleggere per le loro doti di maitresse, le starlette televisive che diventano titolari di ministeri.
Ancora una volta, il baratro non è politico: è culturale. E’ l’assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità. L’assenza di un’alternativa altrettanto convincente. E’ questo il danno prodotto dal quindicennio che abbiamo attraversato, è questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello.

Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole come forma di emancipazione dal bisogno e persino come strumento di accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono due anni che lo faccio, ma oggi è il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? Davvero pensate di poter alzare le spalle, di poter dire non mi riguarda? Il grande interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è cosa faccia Silvio B. e perché.

La vera domanda è perché gli italiani e le italiane gli consentano di rappresentarli. Il problema non è lui, siete voi. Quel che il mondo ci domanda è: perché lo votate? Non può essere un’inchiesta della magistratura a decretare la fine del berlusconismo, dobbiamo essere noi. E non può essere la censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né l’accertamento dei reati che ha commesso: dei reati lasciate che si occupi la magistratura, i vizi lasciate che restino miserie private.

Quel che non possiamo, che non potete consentire è che questo delirio senile di impotenza declinato da un uomo che ha i soldi – e come li ha fatti, a danno di chi, non ve lo domandate mai? - per pagare e per comprare cose e persone, prestazioni e silenzi, isole e leggi, deputati e puttane portate a domicilio come pizze continui ad essere il primo fra gli italiani, il modello, l’esempio, la guida, il padrone.

Lo sconcerto, lo sgomento non sono le carte che mostrano – al di là dei reati, oltre i vizi – un potere decadente fatto di una corte bolsa e ottuagenaria di lacchè che lucrano alle spalle del despota malato. Lo sgomento sono i padri, i fratelli che rispondono, alla domanda è sua figlia, sua sorella la fidanzata del presidente: «Magari». Un popolo di mantenuti, che manda le sue donne a fare sesso con un vecchio perché portino i soldi a casa, magari li portassero. Siete questo, tutti? Non penso, non credo che la maggioranza lo sia. Allora, però, è il momento di dirlo.
pubblicato sul quotidiano L'Unità del 19 gennaio 2011

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13.1.11

Il buio oltre Torino

Volentieri rilanciamo la lettera del signor Luca Mazzucco, pubblicata oggi sul quotidiano l'Unità.
E' uno spunto di riflessione, per tutti.

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Il buio oltre Torino
Sono nato in una città stupenda, abbracciata dalle Alpi. In quella città ho imparato ad ascoltare decine di dialetti diversi, che per la prima volta si incontravano. In quella città ho conosciuto migliaia di occhi colorati, carichi di nostalgia per quello che avevano lasciato e di orgoglio per il futuro che stavano costruendo ai propri figli. Di quella città ricordo il colore della domenica, il blu, il blu delle spesse tute di fustagno di mio padre e di migliaia di operai, tute blu appese ad ogni balcone, fresche di bucato, cariche di fatica, di pulizia e di dignità. Tute blu, che ci hanno permesso di studiare, che ci hanno consegnato diritti che loro non avevano, diritti fondamentali, inalienabili, che hanno reso il nostro paese un paese civile, un paese all'avanguardia.
Quella città ha dato il suo nome ad una azienda, l'ha fatta diventare la più grande azienda del paese. Un paese che ogni giorno, ogni momento, ha aiutato e sostenuto quell'azienda.
Oggi ci dicono che quell'azienda sarebbe migliore senza il peso di questa città, senza la zavorra di questo paese, il paese che acquista gran parte di ciò che quell'impresa fatica a vendere nel resto del mondo, che quell'impresa sarebbe migliore se non dovesse rispettare i diritti che i nostri padri ci hanno regalato.
Economisti, politici, industriali, sindacalisti, ci dicono che il nostro paese e la nostra città devono guardare avanti, devono guardare all'unico futuro possibile, valido per tutto e per tutti.
Ci dicono che da domani bisognerà abbassare ancora un po' lo sguardo, perché, in qualche parte del mondo, qualcuno sta guardando ancora più in basso ed il futuro è solo per chi accetta di guardare più in basso. Il futuro è per chi non vede futuro.
I primi a dover scegliere se accettare questo futuro sono gli operai della grande azienda. Sono liberi di farlo, di esprimersi in un referendum, lavoro o disoccupazione.
Ci saranno padri che voteranno sì, sì ad affrontare nuovi sacrifici pur di garantire il bene dei propri figli.
Ci saranno padri che voteranno no, no ad un futuro senza diritti per i propri figli.
Ma tutti, proprio tutti, avranno un solo unico obiettivo: consegnare ai propri figli la possibilità di guardare al futuro, di guardare avanti, di guardare in alto, probabilmente, oltre le Alpi innevate che circondano questa città, oltre i confini di un paese incapace di offrire un futuro.
Molti di quei figli hanno già valicato quelle montagne, molti lo stanno facendo, molti lo faranno. Figli che hanno trovato e troveranno il loro futuro in altre città, che in quelle città hanno portato e porteranno la loro cultura, i loro studi, i loro mestieri, la loro ricchezza. Occhi che un giorno guarderanno un paese ormai sconosciuto, guarderanno una città tornata grigia, guarderanno una città saccheggiata da venditori di futuro senza scrupoli e senza idee, guarderanno una città che un giorno aveva smesso di vedere il futuro.
Luca Mazzucco

9.1.11

I bambini non nati di mio fratello Luigi

Apprendo ora della morte di Lorenzo Pinto. Lorenzo era un ferroviere, un macchinista. Ed era il fratello di Luigi, una delle otto vittime della strage di Piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974.

Per oltre 10 anni ho organizzato a Roma una manifestazione denominata "Luoghi della memoria": il 2 novembre di ogni anno, dal 1994 al 2006. Una commemorazione laica dei defunti, in vari luoghi della città. Promossa dal Teatro di Roma, e finanziata dall'Assessorato alla Cultura del Comune.
In occasione della manifestazione si pubblicava un libretto di un centinaio di pagine che veniva dato gratuitamente al pubblico: conteneva i testi di tutte le letture della giornata.
Nel 2002 lessi su La Repubblica la lettera di Lorenzo Pinto che riporto qui di seguito.
Cercai di rintracciarlo per chiedergli il permesso di pubblicare questa lettera nel nostro libretto e per invitarlo ad uno degli eventi: lo spettacolo "Il mio nome è Caino" testo di Claudio Fava e regia di Ninni Bruschetta, presentato all'aperto davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro (oggetto di un attentato mafioso nel luglio 1993).
Alla fine riuscii a parlargli e acconsentì alla pubblicazione.
Il 2 novembre di quell'anno, alle 18.00, arrivò sul luogo dello spettacolo, accompagnato da una signora che conoscevo bene. I casi della vita! Lei era la direttrice dell'asilo nido che aveva frequentato mio figlio. Lui era composto, attento, sereno, sensibile. Parlammo a lungo. Si intrattenne con il regista, gli attori, i musicisti.
Condivemmo l'idea che non bisogna mai fermarsi. Per parte mia gli dissi che credevo (e credo) che il teatro sia un buon mezzo per comunicare, denunciare, condividere.
Leggo ora della sua morte. Mi addolora. Aveva la mia età.
Sabina de Tommasi

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I bambini non nati di mio fratello Luigi
"Gino guarda Lorenzo, Gino guarda Lorenzo", - ...così prega la madre di Gino, oramai settantatreenne e si raccomanda al Dio buono degli uomini di proteggere le persone care rimaste. Gino, così chiamiamo Luigi nel sud dell'Italia, non fu poi molto fortunato. Ritornò in una cassa di mogano, avvolta in una bandiera tricolore da un lato e dall'altra con una bandiera rossa. Morì perché era di spalle a un cestino portarifiuti imbottito di tritolo, fatto esplodere la mattina del 28 maggio del 1974 a Brescia, in piazza della Loggia. Gino era sposato da otto mesi, con una donna dai capelli d'oro, una donna del Nord. Io ero poco più di un ragazzo e sognavo Di Vittorio al posto di Robin Hood - "Di Vittorio conosce il vocabolario italiano a memoria!", dicevano i vecchi della sezione comunista.
Tre processi, quattro istruttorie, la quinta è in corso, 28 anni sono trascorsi, nessuna verità giudiziaria. A volte mi chiedo come possono vivere o come hanno potuto vivere questi personaggi. Come hanno potuto accarezzare la fronte dei propri figli, baciato la donna amata, sognato se mai un mondo migliore?
Io non parlo e non chiedo la giustizia dei tribunali. Stando alle pronunce dei tribunali, Mussolini non ebbe parte nell'omicidio di Matteotti, Trotzkji si unì a Hitler contro l'Urss, Sacco e Vanzetti erano colpevoli, Persano fu l'unico responsabile di Lissa, Anna Bolena meritò la decapitazione perché adultera e Giovanna d'Arco il rogo perché vestiva abiti maschili. In sede storica la decisione dei tribunali è stata spesso un buon viatico per la tesi opposta. Per me, giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto.
Da molto tempo le stragi non sono più raccontate; commemorate, sì, ma ridotte a eventi lapidari. La memoria è duratura se è un racconto ripetuto: racconto, cioè svolgimento narrativo e non rappresentazione di un evento isolato; ripetuto, in quanto abbia un senso al mutare del contesto e delle generazioni.
Io, adesso, non sono più un ragazzo che sogna "Di Vittorio al posto di Robin Hood", sogno come sarebbe stato mio fratello Gino, i suoi occhi ridenti, e se fossi stato lo zio dei suoi figli avrei cantato loro la ninna nanna della mia terra. Non è così.
Dovremo avere un giorno della memoria, come per le vittime dei campi di sterminio, dedicato ai caduti per stragi, terrorismo, mafia. Un giorno dell'anno, rosso sul calendario.
di Lorenzo Pinto
lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 29 maggio 2002

8.1.11

Sì ai diritti, No ai ricatti. La società civile con la Fiom

L'APPELLO

Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.

Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack

Firma l'appello su MicroMega